L’assessore alle Politiche Abitative di Roma Capitale ha spiegato: "L’Edilizia residenziale sociale si rivolge a chi non ha i requisiti per accedere alla casa popolare, ma non riesce a reggere i costi del mercato privato". In arrivo nuovi bandi
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L’assessore al Patrimonio e alle Politiche Abitative di Roma Capitale, Tobia Zevi
L’assessore al Patrimonio e alle Politiche Abitative di Roma Capitale, Tobia Zevi Roma Capitale

Il primo bando di Edilizia residenziale sociale (Ers) promosso da Roma Capitale ha permesso a quindici famiglie di ricevere le chiavi delle loro case nel quartiere di Spinaceto. Gli alloggi, tra gli 80 e i 90 mq, sono stati assegnati con canoni attorno ai 500 euro al mese. Ma in cosa consiste esattamente questo nuovo modello abitativo? A chi è rivolto e cosa significa per la città? Lo ha spiegato a idealista/news l’assessore al Patrimonio e alle Politiche Abitative di Roma Capitale, Tobia Zevi, che nei giorni scorsi ha anche partecipato a un'iniziativa in Lussemburgo, nella sede della Banca Europea per gli Investimenti, per discutere e portare avanti il piano di emergenza europeo per il diritto all’abitare. A tal proposito, ha affermato: “Vogliamo che il diritto alla casa sia riconosciuto come diritto sociale europeo e che la sofferenza abitativa venga inserita tra i parametri di valutazione delle politiche economiche europee”.

L'Edilizia residenziale sociale cos’è?

“Ers, Edilizia residenziale sociale, è il segmento dell’intervento pubblico che si rivolge alla classe media, ai nuclei che hanno un reddito familiare fino a 50mila euro l’anno. 

Si tratta di chi non ha i requisiti per accedere alla casa popolare, ma non riesce a reggere i costi sempre più alti del mercato privato. 

Penso ai giovani che lavorano con contratti discontinui, alle famiglie monoreddito, agli anziani che vivono soli con pensioni modeste, a chi arriva da fuori Roma per lavorare o studiare. 

La novità del nostro tempo è proprio questa: se prima la povertà abitativa riguardava solo gli ultimi, oggi tocca anche persone della classe media che in passato avrebbero certamente trovato un alloggio da affittare. Nel Dopoguerra si parlava di edilizia agevolata, ma adesso la sfida è sbloccare programmi e progetti che rispondano alle esigenze di questa ampia fascia sociale in costante aumento”.

Perché è stato pensato questo primo bando?

“Ci siamo resi conto che i giovani sono tra le categorie più a rischio, nonostante ciò che si pensa. A Roma, sempre più famiglie che fino a qualche anno fa riuscivano a cavarsela oggi faticano a sostenere l’affitto o ad acquistare casa. Il primo bando, che ha riguardato due palazzine a Spinaceto, ha dimostrato quanto questa domanda fosse concreta. Naturalmente è una prima goccia nel mare, ma è anche il segno che dobbiamo usare al meglio il patrimonio pubblico al di là delle case popolari. 

Lo studio commissionato al Cresme da parte del Dipartimento Urbanistica di Roma Capitale, ormai un anno fa, ci ha restituito un dato molto chiaro: da qui al 2032 servono quasi 72.000 alloggi a Roma, di cui più di 30.000 destinati a quella fascia intermedia che rischia di essere la nuova area grigia della povertà urbana. 

Non parliamo solo di numeri, ma di scelte politiche: o rispondiamo ora con strumenti nuovi, oppure alimenteremo nuove disuguaglianze”.

Ci saranno altri bandi?

“Assolutamente sì. L’obiettivo è costruire una politica strutturale e non emergenziale. 

L’Ers non può essere un progetto una tantum: deve diventare una delle colonne portanti delle politiche abitative romane. 

Stiamo già preparando nuovi bandi e, allo stesso tempo, abbiamo approvato una Delibera assieme al collega Maurizio Veloccia, assessore all’Urbanistica, che svolge una ricognizione degli interventi urbanistici previsti e potenzialmente pronti per farli partire appena possibile. 

Nel frattempo, sviluppiamo un altro strumento essenziale previsto dal Piano Strategico per il diritto all’Abitare 2023-2026: l’Agenzia Sociale per l’Abitare. Si tratta di una struttura permanente, con personale qualificato e funzioni di orientamento, accompagnamento e mediazione. Perché spesso il problema non è solo trovare casa, ma riuscire a mantenerla nel tempo. L’Agenzia sarà un punto di riferimento per chi ha bisogno di aiuto concreto, ma anche per valorizzare l’offerta presente sul territorio, coinvolgendo anche il settore privato in forme innovative di collaborazione”.

A chi era rivolto il primo bando di Edilizia residenziale sociale? E quanta popolazione ha riguardato?

“Il primo bando era rivolto a nuclei familiari giovani con un reddito fino ai 50.000 euro. Questo vuol dire parlare a una parte molto significativa della popolazione romana: tra il 20% e il 30% delle famiglie. Una fascia che ha un reddito, magari lavora stabilmente, ma non riesce a sostenere un affitto a prezzo di mercato. 

È un paradosso che si traduce in insicurezza, precarietà e spesso in esclusione dai circuiti urbani. In questo senso, l’Ers è anche un progetto di coesione sociale: serve a evitare che parti intere della città si svuotino o si ghettizzino. Dare risposte immediate a questa fascia vuol dire non farla cadere in quella Erp”.

Che immobili avete inserito nel bando? E con che interventi?

“Gli alloggi provengono da due palazzine che Roma Capitale ha acquisito a seguito del fallimento della società costruttrice e del decadimento del piano di zona. 

Un’operazione importante, che ha trasformato un problema urbanistico in un’opportunità sociale. 

Dopo interventi di manutenzione ordinaria, siamo riusciti in tempi molto rapidi – bando a febbraio, consegna a giugno – ad assegnare 15 appartamenti, con canoni attorno ai 500 euro al mese. 

Sono abitazioni dignitose, tra gli 80 e i 90 mq, e sono diventate casa per famiglie che avevano bisogno di una svolta. Personalmente, è stato molto emozionante accompagnare alcuni nuclei, soprattutto con bambini, e aprire insieme a loro la porta della nuova casa: uno di quei momenti che danno senso profondo al nostro lavoro nelle istituzioni”.

A livello politico, cosa rappresenta questa svolta sull’Ers?

“Rappresenta una scelta di campo. Con il sindaco Roberto Gualtieri, abbiamo deciso che la casa non può essere un lusso, né un bene lasciato esclusivamente alle dinamiche del mercato. Non ci rassegniamo all’idea che la città debba diventare un luogo per pochi. 

Stiamo costruendo una mappa del fabbisogno abitativo decennale e al tempo stesso una nuova stagione di investimenti pubblici. Ma è chiaro che per farlo servono risorse adeguate: non bastano quelle comunali. 

Per questo chiediamo con forza un impegno nazionale – a partire da un Piano Casa strutturato – e risorse europee dedicate. 

La casa è un diritto, ma anche un tema di tenuta democratica delle città: dove si rompe l’equilibrio abitativo, si indebolisce la coesione sociale”.

Di recente è stato in Lussemburgo alla Banca Europea per gli Investimenti. Che ruolo ha avuto Roma?

“È stato un passaggio importante. Abbiamo partecipato, insieme a città come Barcellona, Parigi, Milano, Budapest e Firenze, a un’iniziativa che ha un obiettivo chiaro: costruire un piano d’emergenza europeo sull’housing. Abbiamo proposto alla Bei (Banca Europea per gli Investimenti) di aprire una linea di finanziamento che sostenga le nostre esigenze. La Bei prevede prestiti per la rigenerazione e la ristrutturazione, mentre non prevede fondi per l’acquisto, che invece a noi servono. 

Ma c’è di più: vogliamo che il diritto alla casa sia riconosciuto come diritto sociale europeo e che la sofferenza abitativa venga inserita tra i parametri di valutazione delle politiche economiche europee. 

Oggi si misura il debito pubblico, ma non si misura quanto costa, in termini di esclusione e disagio, la mancanza di una casa. È tempo che l’Europa si faccia carico di questa emergenza, che non è solo romana, ma continentale. E Roma, in questo processo, vuole stare in prima fila”.

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