Le aziende hanno concluso le vacanze natalizie piene di voglia di fare nuove assunzioni? anche fosse, sicuramente aspetteranno ancora un po'. Il 2015 è l'anno della nuova disciplina del lavoro, ma nonostante la corsa contro il tempo fatta in parlamento a dicembre, le nuove norme non sono ancora in vigore e non lo saranno, più o meno, per un mese.
Dopo che è arrivato il bollo della ragioneria dello stato, infatti, tanto ci vuole, all'incirca, perché si concluda la "fase uno", con la pubblicazione in gazzetta ufficiale dei due decreti attuativi fin qui varati dopo aver ricevuto la delega dalle aule. Prima, un altro passaggio parlamentare: i testi approdano alle commissioni competenti di camera e senato, che potranno offrire i loro pareri, non vincolanti, per modificare il testo definitivo. Non ci sarà, invece, alcun nuovo voto degli stessi. Il governo, dunque, potrà andare avanti senza tenere conto delle osservazioni.
I due decreti licenziati dal consiglio dei ministri alla vigilia di natale riguardano, rispettivamente, il cosiddetto "contratto a tutele crescenti" e la "naspi" (nuova assicurazione sociale per l'impiego". Vediamone i punti principali.
Il più atteso era senza dubbio quello che "rimodula" l'articolo 18 per le nuove assunzioni. Nel primo dei 12 articoli che lo compongono, è scritto che "per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo è disciplinato dalle disposizioni di cui al presente decreto".
Inoltre, le nuove assunzioni non entrano nel computo che porta all'applicazione dell'articolo 18, per cui chi ha meno di 16 dipendenti e procede ad assunzioni con la nuova normativa, continuerà a non vederlo applicato alla sua intera forza lavoro.
Rimane rimessa al giudice la determinazione dei casi in cui un licenziamento possa definirsi "discriminatorio", così come se rientri negli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, tra i quali la comunicazione in forma orale. Nel caso venisse reintegrato, il lavoratore avrà 30 giorni di tempo per chiedere, in sostituzione della ripresa del lavoro, un'indennità di 15 mensilità non sogetta a contribuzione previdenziale. In questo caso il rapporto è definitivamente risolto. Un risarcimento sarà, in ogni caso, dovuto per il periodo di interruzione del rapporto e non potrà essere inferiore a cinque mensilità.
Salvo che non avvenga per giustificato motivo o giusta causa, negli altri casi il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e stabilisce un'indennità pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità. Per evitare del tutto il giudizio, il datore di lavoro può proporre fino a 18 mensilità di stipendio, non soggette a imposta sul reddito e contribuzione
È istituito, infine, un fondo per la ricollocazione, finanziato con 50 milioni di euro per il 2015 e di 20 milioni di euro per il 2016. Il lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo può chiedere al centro per l’impiego territorialmente competente un voucher rappresentativo della dote individuale di ricollocazione, attraverso il quale avrà diritto a una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, "programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, da parte dell’agenzia per il lavoro" pubblica o privata
Per la "naspi" bisognerà attendere oltre febbraio e, precisamente, l'inizio di maggio. Una data sostanzialmente coerente con il requisito di avere almeno 13 settimane di reddito per potervi accedere, ipotizzando che a beneficiarne saranno i primi "estromessi" dai nuovi contratti. Anche se, in realtà, basta che i contributi per tale periodo di tempo siano stati versati nei quattro anni precedenti (18 giornate lavorative, però, devono essere state svolte entro i 12 mesi precedenti)
Potranno accedervi anche, oltre a quelli che avevano un tempo indeterminato che non è più, di fatto, tale, lavoratori, sia pubblici che privati, soggetti a contratto a tempo determinato. Sempre che perdano il lavoro per cause non dipendenti dalla loro volontà. Esclusi i lavoratori agricoli.
Il calcolo si effettua così: occorre prendere la base imponibile previdenziale degli ultimi 4 anni, dividerla per il numero di settimane di contribuzione effettiva e moltiplicare per 4,33. Se si ottengono meno di 1.195 euro (valore per il 2015), l’indennità mensile sarà pari al 75% di tale retribuzione. Se si ottiene di più, al 75% si aggiunge un ulteriore 25% dell'ammontare che eccede quota 1.195, con un tetto a 1.300 euro.
La naspi durerà al massimo due anni, meno se negli ultimi 4 anni non si sono versati contributi con continuità. Si ridurrà progressivamente del 3% mensile a partire dal quarto mese di fruizione, secondo la modifica al testo originale apportata dalla ragioneria dello stato. Può essere cumulata ad altri redditi, purché non eccedano la soglia di non imponibilità, ovvero 8.145 euro, se provenienti da lavoro dipendente, a 4.800 se sono frutto di lavoro autonomo
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