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Dalla megalopoli alla città interconnessa: la rigenerazione urbana passa da borghi e periferie
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Il tempo delle città sovradimensionate e del consumo di risorse ad oltranza è finito. Secondo Manfredi Catella, Ceo di COIMA, la rigenerazione urbana del presente e del futuro verterà sull’interconnessione tra centro e periferia e tra città e borghi. Con un occhio a impatto ambientale, criteri Esg e digitale che sono i pilastri del nuovo Gruppo COIMA, controllato dalla nuova COIMA Holding, la cui nascita è stata annunciata durante il forum Rigenerazione Italia dello scorso 12 maggio.

COIMA Holding controllerà tutte le società del Gruppo: COIMA SGR, società di Investment & Asset management che gestisce 27 fondi di investimento immobiliare; COIMA REM, società di development e property management, che ha sviluppato e gestisce immobili per oltre 5 milioni di metri quadrati; COIMA HT, società neocostituita che opera in ambito tecnologico e digitale per supportare i processi di rigenerazione urbana e trasformazione digitale degli spazi fisici; COIMA Image, attiva nello space planning e interior design; Residenze Porta Nuova, agenzia dedicata al settore residenziale.

Riqualificazione urbana: i tre pilastri

“Sostenibilità, unione delle forze economiche e territorio visto come risorsa strategica sono i tre pilastri su cui si regge oggi la riqualificazione urbana, - spiega Catella. – L’uso efficiente dei fondi messi a disposizione del PNRR, può generare fino a 54,4 miliardi di impatto economico sullo sviluppo delle città, secondo le nostre stime. È necessario che l’Italia diventi un modello: se Parigi, con la sua città dei 15 minuti, è diventata un paradigma europeo e l’Olanda un modello di riferimento regionale, l’Italia può diventare un modello nazionale di città interconnessa, alternativo alla metropoli”.

Il fulcro della discussione durante il forum Rigenerazione Italia è infatti la possibilità che la crescita delle nuove città non passi più per l’allargamento ad oltranza del centro cittadino, ma per l’interconnessione di vari centri, che elimini alla radice il problema del degrado delle periferie facendone altrettanti nuovi centri e crei valore dai paesi e dai borghi limitrofi alle città tramite un’intensa rete di interconnessione ai centri principali che concretizzi l’ideale di città diffusa.

“Occorre però che l’Italia si dia da fare per realizzare il paradigma, - sprona Catella. - Ora abbiamo i fondi del recovery e abbiamo un governo credibile per farlo. Al momento la capitalizzazione di Borsa delle società immobiliari ammonta a meno di un milione e mezzo di euro, la Germania ne conta 115 milioni. Non basta. Possiamo rigenerare almeno 100 milioni di metri quadri con una riduzione di Co2 del 15% creando fino a 300 mila nuovi posti di lavoro. Ma per realizzare tutto questo c’è una sola cosa da fare: andare a lavorare”.

In un momento di crisi come questo non si rischia che la rigenerazione urbana crei solo cattedrali nel deserto, come gli uffici di Milano che con lo smart working rischiano di restare vuoti? “Anche Porta Nuova è nata durante una crisi, nel 2000, con l’Italia in preda alla depressione del post tangentopoli”, ricorda Catella. “Si può sempre ripartire con idee nuove, sono ottimista. L’esperienza della pandemia deve far riflettere. La crisi covid ha avuto due fasi: una prima parte in cui abbiamo apprezzato il poter organizzare il tempo diversamente, la seconda in cui non abbiamo più voluto organizzare il tempo come prima. Quindi la città va ripensata come luogo della socialità che dobbiamo ritrovare”.

Una riprogettazione che necessariamente passa per le periferie e che deve prendere in considerazione non più il costruire nuovi spazi, ma l’efficientare quelli esistenti. “Il problema delle periferie si risolve non facendole, - è l’uovo di Colombo di Catella, “ma interconnettendo ogni zona in modo che si possa lavorare da ogni luogo altrettanto bene. Ovviamente la condizione è la creazione di collegamenti fisici e tecnologici capillari, che non si trovano ovunque allo stesso modo”.

I borghi e la città diffusa

In cosa consiste allora la rigenerazione urbana, se non nelle nuove costruzioni? L’architetto Renzo Piano parla di un’urbanistica del “rammendo”. “Ma non nel senso di rattoppo, - spiega il senatore a vita, - bensì di arte nobile del tenere insieme a livello infrastrutturale, fisico e scientifico un territorio, inteso come città diffusa, che include anche periferie e perfino borghi e campagna. E’ lì infatti che vivono il 90% delle persone. Città diffusa peraltro è un modello europeo, altrove è normale muoversi da un piccolo paese e arrivare alla città con i trasporti. Rammendo significa recuperare questa dimensione di città che va oltre i propri confini”.

“Non bisogna però cadere nella trappola di considerare, ad esempio, la smart city, come una città basata sulla sola tecnologia, - avverte Francesca Bria presidente CDP venture capital. “Smart vuol dire infatti mobilità sostenibile, cambiamento climatico, ripensare la connessione in termini a basso impatto, pianificazione urbanistica, con la partecipazione democratica dei cittadini su questi temi. In questo la tecnologia va considerata una infrastruttura pubblica al servizio dei cittadini per affrontare queste sfide. E può diventare parte della progettualità di connettere nord con sud, centri urbani, centro e periferia, città e borghi. Ma il punto di partenza restano i cittadini”.

Di cosa ha bisogno l’Italia per realizzare tutto questo?

 “Negli ultimi dieci anni l’Italia ha investito pochissimo in infrastrutture, - si rammarica Pietro Salini amministratore delegato di WeBuild. - Abbiamo problemi territoriali, sismi, dissesto idrogeologico, e sono temi che vanno affrontati da molto tempo. Vanno fatte delle scelte. Le città sono il luogo dove la gente lavora, e molte città storiche stanno soffrendo la crisi attuale perché non trovano più la mission che le ha fondate. La vocazione turistica, ad esempio, si può riscoprirla, oggi anche in chiave di luogo di lavoro decentrato che coincide col posto in cui si vive. Il che, purchè ben connesso, presenta indubbi vantaggi dal punto di vista della qualità della vita ma anche dei costi immobiliari, notevolmente inferiori. Questa dunque può essere la direttrice lungo cui muoversi per realizzare la nuova rigenerazione urbana”.

 

 

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